Il deposito telematico può riguardare solo gli atti individuati da decreto ministeriale? Tribunale, Foggia, decisione 10/04/2014

In prossimità del 30 giugno 2014, data prevista per l’entrata in vigore dell’obbligo di deposito telematico degli atti processuali [1], si amplia il novero di decisioni in materia di processo telematico, a seguito del naturale incremento del numero di avvocati che si avventurano nell’uso dello strumento.

Tra le varie pronunce, degna di nota è la decisione 10 aprile 2014 del Tribunale di Foggia, che per la prima volta affronta – seppur in modo scarno – la questione del deposito di un tipo di atto non previsto dal decreto autorizzativo del Ministero della Giustizia, emesso dalla Direzione Generale Servizi Informativi Automatizzati.

Infatti, l’articolo 51, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, (convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133, come innovato dal DL 193/2009, convertito in Legge 24/2010), prevede che “Con uno o più decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi entro il 1° settembre 2010, sentiti l’Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell’ordine degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione, individuando gli uffici giudiziari nei quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 1.” Conseguentemente, l’art. 35 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44 (recante le Regole Tecniche del PCT) dispone che “L’attivazione della trasmissione dei documenti informatici (da parte dei soggetti abilitati
esterni) e’ preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità’ delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità’ dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio
“.

Nella prassi, ciò si è tradotto nell’emissione da parte della DGSIA di un decreto dirigenziale, nel quale sono stati specificamente indicati gli atti e i procedimenti per i quali è ammesso il deposito telematico.

In merito, si è, per l’appunto, espresso il Tribunale pugliese, chiamato a valutare la ritualità di un ricorso per accertamento tecnico preventivo, depositato in via telematica. Scrive il giudice: “rammentato che il decreto del Ministero della Giustizia che ha autorizzato il deposito di atti telematici con valore legale da parte di soggetti esterni al Tribunale di Foggia a far data dal 15 gennaio 2014 ha espressamente individuato tra di essi i soli atti endoprocessuali – in linea con la previsione dell’art. 16 bis d.l. 179/2012 che menziona atti processuali e documenti dei difensori delle parti precedentemente costituite – tra cui, per certo, non rientra l’atto di citazione o il ricorso introduttivo del giudizio; ritenuto, perciò, che l’istanza perché pervenuta in forma diversa da quelle previste deve essere dichiara inammissibile” e, per l’effetto, dichiara inammissibile il ricorso così depositato.

L’interprete è, pertanto, chiamato ad interrogarsi sulla legittimità del deposito telematico di un atto non contemplato dal decreto autorizzativo e, quindi, di un deposito effettuato con modalità asseritamente non consentite dal suddetto.

In merito occorre, preliminarmente, evidenziare che non sembra rinvenirsi norma alcuna – legislativa o regolamentare – che attribuisca alla DGSIA il potere di stabilire quali atti siano validamente depositabili in via telematica, limitandosi le fonti sopra citate (in particolare l’art. 35 del DM 44/2011) a sancire che a tale organo spetta accertare e dichiarare “l’installazione e l’idoneità’ delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità’ dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio“.

In punto di diritto, appare indispensabile raccordare le previsioni suddette alle altre norme pertinenti dell’ordinamento, contenute nel codice di rito e nel Codice dell’Amministrazione Digitale, dovendosi distinguere tra validità dell’atto processuale e validità del deposito, posto che, in verità, nessuna disposizione menziona l’espressione “valore legale”, tipicamente utilizzata per indicare la possibilità o meno di depositare telematicamente l’atto.

Quanto all’atto, l’art. 121 c.p.c. stabilisce che gli atti del processo, per cui la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Prima “forma determinata” è sicuramente quella scritta nelle ipotesi di cui all’art. 125 c.p.c., dal momento che esso postula la sottoscrizione. Le singole disposizioni codicistiche prevedono poi la forma scritta quasi sempre, e non v’è dubbio che anche l’atto telematico debba rivestire forma scritta: lo statuisce chiaramente l’art. 21, comma 2, del CAD, poiché l’avvocato lo firma digitalmente, richiamato dall’articolo 20, comma 1bis, del CAD, secondo cui “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, […] fermo restando quanto disposto dall’articolo 21” medesimo. Per converso, regole e specifiche tecniche a loro volta disciplinano l’atto processuale informatico, avvalorandone la validità. Alla luce di quanto premesso, può affermarsi che l’atto processuale informatico, redatto in conformità alle norme citate, alle Regole Tecniche contenute nel DM 44/2011 ed alle Specifiche Tecniche del PCT (da ultimo contenute nel Provvedimento 16 aprile 2014), sia pienamente valido e rilevante agli effetti di legge. Fermo restando, in ogni caso, il principio generale di cui all’articolo 156 c.p.c., per il quale l’atto eventualmente invalido, se ha raggiunto lo scopo cui è destinato, non può essere dichiarato nullo o, in mancanza, deve ordinarsene la rinnovazione.

Quanto, invece, alle modalità del deposito, si è rilevato come il Tribunale di Foggia abbia ritenuto indispensabile il preventivo decreto autorizzativo della DGSIA contenente – come attualmente avviene – l’elencazione delle tipologie di atti assentiti. Aderendo a tale assunto, potrebbe argomentarsi l’irritualità, inesistenza o inammissibilità (come fa la pronuncia in esame) del deposito.

La tesi appare, però, piuttosto ardua. L’inammissibilità è prevista dal nostro ordinamento processuale in maniera tassativa, per lo più rispetto alle impugnazioni (artt. 325, 327, 334, 331, 329, 365, 358 c.p.c.) e, solo in due ipotesi (art. 408 c.p.c., opposizione di terzo, e art. 398 c.p.c., revocazione) per gli atti introduttivi. L’inammissibilità del deposito telematico non è, invece, espressamente prevista, neanche dalle Regole Tecniche (che comunque quale fonte subordinata alla legge non possono prevalere sul codice di rito, cfr. Tribunale di Milano, sez. IX,sentenza 19 febbraio – 5 marzo 2014, n. 3115). L’inammissibilità costituisce un “vizio dell’atto che impedisce al giudice di esaminare la richiesta avanzata da una parte del processo non presentando essa i requisiti stabiliti dalla legge” determinando, per l’effetto, l’insorgere di un vizio logico nella decisione del giudice foggiano, consistito nell’aver ritenuto inammissibile un ricorso che sicuramente ha dovuto esaminare per potersi pronunciare; nonché giuridico, perché ha comminato la sanzione della inammissibilità non prevista da alcuna norma per il caso in esame.

Non convincono, inoltre, sia la tesi dell’inesistenza di un atto validamente formato nel rispetto di tutta la normativa pertinente, sia quella dell’irritualità, sprovvista di sanzione sul piano processuale e che non impedisce, quindi, la piena cognitio della controversia. Per mero tuziorismo, va esclusa anche l’irricevibilità dell’atto, istituto tipico del solo processo amministrativo.

Riguardo al valore giuridico dei decreti dirigenziali de quo, sembrerebbe ragionevolmente potersi ipotizzare un potere di deroga concesso alle cancellerie, rispetto al loro dovere di accettare qualunque atto depositato, a fronte del potere spettante al solo giudice di valutarne la valenza processuale, permettendo a queste di non accettare il deposito telematico in mancanza del decreto dirigenziale DGSIA . Nel caso in esame , essendo l’atto stato accettato dalla cancelleria e posto sulla scrivania del magistrato, pur mancando il provvedimento autorizzativo, è mancato l’esercizio del potere di rifiuto da parte della PA, di fatto avallando per comportamento concludente la funzionalità dei sistemi telematici di quell’ufficio giudiziario e la loro idoneità a ricevere tali atti. Per questo sarebbe stato opportuno non sanzionarlo con l’inammissibilità per ragioni meramente formali, poiché sostanzialmente è l’ufficio stesso che con l’accettazione lo ha dichiarato implicitamente, sotto il profilo tecnico, l’unico profilo cui fanno richiamo le norme citate dal magistrato, accettabile e quindi ammissibile.

D’altronde, ben più che nelle Regole Tecniche, il deposito telematico degli atti giudiziari trova fondamento nel Codice dell’Amministrazione Digitale, richiamato nell’intestazione del DM 44/2011 medesimo, ove si legge che esse sono adottate “in attuazione dei principi previsti daldecreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82“. Infatti, l’art. 45 del CAD statuisce che “i documenti trasmessi da chiunque ad una PA con qualsiasi mezzo telematico o informatico, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale“. L’articolo riportato parla, più correttamente, di trasmissione telematica, posto che, invero, il deposito telematico vero e proprio si realizza dopo l’accettazione materiale del cancelliere. In ogni caso, esso fonda la legittimità di una trasmissione telematica agli Uffici Giudiziari, purché ricorra il presupposto dell’idoneità del mezzo telematico ad accertare la fonte di provenienza del documento: idoneità – si è detto – che è acclarata dal decreto non regolamentare della DGISA, adottato ai sensi dell’art. 35 del DM 44/2011.

Peraltro, a partire dal 30 giugno 2014, ove si accogliesse la tesi per cui questo decreto deve indicare gli atti depositabili, piuttosto che unicamente l’idoneità dell’infrastruttura informatica, si cadrebbe in un’assurda problematica. L’obbligo di deposito telematico coinvolgerà anche il procedimento monitorio: se, in ipotesi, in un determinato foro non intervenisse entro giugno un decreto DGSIA che autorizzi il deposito del ricorso monitorio, esso sarebbe da considerarsi non assentito per mancata dichiarazione di idoneità, ancorché previsto tra gli atti a deposito telematico obbligatorio dall’art. 16bis del D.L. 179/2012, contraddizione evidentemente insanabile.

Altrettanto ampie le conseguenze della tesi per cui il decreto DGSIA non debba indicare quali atti depositare telematicamente: significherebbe che, già da oggi, in qualunque tribunale sia presente il decreto predetto, sarebbe possibile depositare qualsiasi atto telematicamente, compresi quelli introduttivi.

Va, altresì, ricordata la giurisprudenza contraria alla sentenza in commento, rappresentata dal precedente del Tribunale di Perugia (ordinanza 17 gennaio 2014). Il giudice umbro ha affrontato l’ipotesi di un difensore che, già avvezzo al deposito telematico nel proprio foro di origine (Teramo), aveva depositato telematicamente la comparsa conclusionale, ancorché non prevista dal decreto DGSIA relativo al foro perugino, ricevendo le consuete prime tre ricevute: accettazione, avvenuta consegna ed esito controlli automatici. Solo successivamente alla sospensione feriale, il legale aveva scoperto il rifiuto del deposito da parte della cancelleria, rifiuto, peraltro, intervenuto intempestivamente. Il Giudicante, tuttavia, nonostante la scadenzamedio tempore realizzatasi per il deposito cartaceo, ha rinvenuto un “legittimo affidamento” del depositante sull’esito positivo della procedura, alla luce della ricezione delle prime tre ricevute: di conseguenza, ritenuto scusabile e non imputabile l’errore dell’avvocato telematico, ha provveduto a rimetterlo in termini per il deposito della comparsa.

Oltre a costituire un rilevante precedente in punto di diritto, la pronuncia perugina sembra asseverare le considerazioni formulate in questa sede, rilevandosi che, dal punto di vista squisitamente informatico, essa si aggiunge ai numerosi depositi che hanno superato i controlli automatici; che il “canale” di comunicazione tra la postazione degli avvocati ed il sistema ministeriale risulta aperto; che ciò consente la “messa a disposizione” del deposito alla Cancelleria, anche laddove manchi la specifica indicazione dell’atto (che, al più, risulterà “non codificato”) nel decreto DGSIA. Questo effetto tecnico va collegato all’art. 73 disp. att. c.p.c. – secondo cui il cancelliere può e deve rifiutare il deposito soltanto laddove mancante delle copie dell’atto processuale per la controparte, cosa che non può mai avvenire nel deposito telematico eseguito correttamente, essendo il file dell’atto processuale unico e valevole come copia per la controparte. Se così è, nel momento in cui la busta telematica entra nel “canale, viene accettata dal sistema e giunge sulla consolle del cancelliere, costui non può rifiutare il deposito a norma di legge, seppur consentito dall’infrastruttura, posto che la norma codicistica (art. 73 citato) prevale – quale fonte di rango primario – sulle Regole Tecniche, fonte regolamentare subprimaria.

La questione – non di poco conto – potrebbe trovare soluzione nell’annunciato intervento legislativo del Governo.

In una lettera pubblica, il Ministro della Giustizia ha, infatti, trattato il tema della rimodulazione dell’avvio del processo telematico obbligatorio, anticipando molteplici novità. Tra di esse, figura la previsione di consentire, in via facoltativa, il deposito degli atti telematici “indipendentemente da specifiche autorizzazioni del Ministero”; implicitamente avvalorando la tesi qui esposta, secondo cui non vi è alcuna necessità e nessun potere del Ministero, tramite la DGSIA, di indicare quali siano gli atti depositabili telematicamente in un determinato foro, con l’effetto di ritenere che sinora un provvedimento dirigenziale non regolamentare abbia avuto un valore vincolante sull’esercizio dell’attività processuale, fortemente limitativo, contrastante con la normativa primaria contenuta nel Codice di Procedura Civile e nel Codice dell’Amministrazione Digitale.

Da ultimo è da parte mia doveroso rendere noto che quanto sopra argomentato è il risultato di uno scambio di opinioni al quale hanno partecipato i colleghi e amici Adriana Augenti, Patrizio Galeotti, Nicola Gargano, Francesco Minazzi e Fabrizio Sigillò che per tale motivo ringrazio unitamente al collega Juri Rudi che ha affrontato analoga questione in uno degli articoli pubblicati nel suo blog.

 

         

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